Marcus Winter Cap. XVI

Pubblicato il da Jolly Roger

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Capitolo XVI

Le ragazze stanno bene, Marcus ha appena sentito i nostri uomini sullo yacht e, per ciò che riguarda noi, dice che ci stanno ancora cercando. Ce ne stiamo rintanati nel piccolo appartamento sopra il locale di Floyd e ci teniamo in contatto con gli uomini. Un nostro informatore dice che abbiamo avuto delle perdite. Tre dei nostri uomini, dopo la fuga dal covo, sono stati intercettati con parte della documentazione che si portavano dietro. Gli uomini di AKEA hanno affiancato la loro auto, crivellandola di colpi e facendo scempio dei loro corpi. Il commando è poi fuggito con le nostre carte. Gangboy apprende la notizia con noi; l’uomo è come posseduto da un’irruenza animale, tenta di uscire dal nostro nascondiglio. Marcus e io lo fermiamo prima che, accecato dall’odio, vada a cercare i killer e consumare la sua feroce vendetta.«LASCIATEMI» urla Gangboy, «VOGLIO RIEMPIRLI DI PIOMBO DA QUI IN LOUISIANA E RITORNO».«Faresti una grande SCIOCCHEZZA, Gang» dice Marc. «Manderesti all’aria il nostro progetto. Anche se avessero tutte le nostre carte, non riuscirebbero mai a scoprire i nostri piani, ci vorrebbero giorni prima di decifrarle e il tempo scarseggia, e di conseguenza ciò gioca a nostro favore. Il sacrificio dei nostri deve essere ripagato, ma con la nostra sonante moneta e non con l’odio blindato nel tuo piombo, Gang».«BASTARDI! Bastardi!» dice Gangboy prima di calmarsi.

Adesso la stasi nevrotica di Gang è figlia di quell’attimo di follia. Gli atti sono estremi anche in questa sua tranquillità apparente, ma non sono tangibili, si percepiscono. Gangboy, posseduto dalla violenza, è schiavo di un mostro nascosto nell’anima, dal sorriso sadico e soddisfatto che ha accecato la mente dell’uomo. La nostra forza è la strategia che precede l’azione e non certo il ribattere colpo su colpo guidati solo dal puro istinto, non avrebbe senso.

Secondo Marc, Gang non può permettersi di essere in balia della furia dagli occhi rossi che schianta la razionalità e lo travia dal nostro obiettivo principale. La naturale tendenza di un uomo abituato a combattere per istinto deve essere frenata e Marc sa come fare.«Due giorni, Gang» dice Marcus, «solo due giorni e arriveremo alla resa dei conti».«Hai ragione, Marc» dice Gangboy, «aspettiamo il momento giusto per finire il gioco».
Finalmente Gang raggiunge la calma emotiva, sebbene i suoi occhi sembrino due lame, pronte a tagliarti in due con la precisione di un laser.

Si è deciso di comunicare senza usare nessun tipo di apparecchiatura. Nelle prossime ore si utilizzeranno solo delle staffette che riporteranno le informazioni attraverso il passaparola. Dobbiamo dare l’impressione di essere fuggiti dopo che il covo è stato scoperto e parte delle informazioni, sebbene inutili al momento, siano nelle mani del nemico. Ci tocca al momento aspettare rintanati in questo buco, non so per quanto tempo, ma immagino che si saprà qualcosa nelle prossime ore.

Per ammazzare il tempo decido di farmi una doccia, ne ho proprio bisogno; le scariche di adrenalina hanno reso l’odore del mio sudore forte, al limite del caprino.

Un’ora dopo, due picchi ravvicinati e uno a distanza, rimbombano sulla porta.«Sono arrivati» dice Marc, «apri tu, Axel». Faccio entrare Aiace e Debra, trasportano quattro grandi zaini tattici gonfi che poggiano in un angolo.«Sabato» dice Debra, «ci sarà uno spiegamento di forze veramente notevole intorno all’area della Smith Tower. Sarà difficile superare i controlli per chiunque. Abbiamo ascoltato una conversazione tra Rosolini e Wiplock, si menzionava della torta da ritirare sabato mattina».«Ok!» dice Marc, «non mi meraviglio della difficoltà a entrare, ma come uscire sarà spettacolare».«Abbiamo portato tutto quello che hai chiesto Marc» dice Aiace.93«Bravi!» dice Winter, «adesso andate e riprendete le vostre posizioni». Aiace e Debra escono, Gang è in bagno a farsi sicuramente una doccia fredda. Io voglio togliermi una curiosità.«Adesso mi dici che gioco sta facendo Willy?» chiedo a Marcus.«Una volta ti dissi che in questa guerra molte cose non sono come sembrano. Sei stato bravo e presto tutto apparirà più chiaro» termina Marc.

Apparirà chiaro un rispettabile cazzo, penso, ma sono troppo stanco per replicare. Quello che so è che uno schizzato bastardo, un killer fottuto, in extremis ha salvato il culo al mio amico; se è così, ci ho guadagnato una bella strizza per non sapere nulla del misterioso ruolo di Willy. Ecco a cosa è servita la falsa intervista al giudice.

Mi scaglio sulla branda per appagare il mio corpo con qualche ora di meritato riposo.

Le visite continuano fino a sera. Un tizio con una salopette verde bottiglia di jeans entra nella stanza, ha in mano un mazzo di chiavi, che sembrerebbero buone per aprire le porte delle celle. Dice che King è nervoso perché non mangia da quattro giorni; consegna a Marc un grande anello tintinnante di metallo brunito in cui sono infilate le chiavi. Winter invita l’uomo a tenerlo a stecchetto, dicendo che presto la cena sarà servita all’impaziente affamato.

Ci viene a trovare lo stesso Floyd, che trasporta un vassoio con del pollo in salsa agrodolce e tre pinte di birra bionda. Durante la cena Marc ci parla della guerra, dei soldati e dei legami che si costruiscono nelle situazioni di rischio estremo. Solo dopo avere affrontato la morte, dice, s’inizia a credere nella vita e nel significato della fratellanza; ogni attimo vissuto da quel momento in poi acquisisce un valore altissimo, estremo. Da questo nasce il sentimento profondo che lega tra loro i combattenti per tutta la vita. Gangboy guarda Marc annuendo e aggiunge che anche la morte non è poi così brutta quando la paura è vinta. Il vigliacco che scappa, lasciando gli altri sfidare la morte, è già morto senza saperlo.

Il significato mi diventa chiaro e le ultime parole di Gang suggellano la mia volontà di riscatto da una vita insulsa e frustrante. Ho paura, ma non posso permettermi di tornare indietro, diventerei come dice Gangboy: un morto senza saperlo, un morto che cammina.

Ripenso a come sono arrivato a questo punto, non ritornerei più a fare il giornalista, a rientrare negli stereotipi professionali, a ricercare chi, cosa, quando, dove e perché. Vedo solo l’ora, l’adesso, l’io. Vivo ogni minuto come se fosse l’ultimo e tutto questo è fantastico.

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