Marcus Winter Cap. IX

Pubblicato il da Jolly Roger

Spartoo - Spazio privilegio

Capitolo IX

 Le ragazze ancora dormono, Marc è in cucina e sta preparando il caffè, gli appoggio una mano sulla spalla, sono ancora troppo rincoglionito per dire qualcosa. «Nottata pesante per tutti, eh?» esordisce Marc con due tazze in mano. «Dai, andiamo sulle nostre sdraio a berci il caffè». «Dormito poco?» gli domando.«Ho aspettato che Dana si addormentasse e poi ho vegliato su di lei per qualche ora. Oddio, quanto è bella, solo ora mi rendo conto che ci sono cose che non dovremmo permettere a nessuno di toglierci; nemmeno a noi stessi». «Tutto ha una fine» dico, «la prospettiva di lasciare presto questa vita e incominciarne un’altra lontano da tutto, con lei, potrebbe essere lo splendido futuro che meriti di vivere, che meritate di vivere».«Vediamo amico… vedremo» termina Winter. Un marinaio ci avverte che abbiamo visite.

Andiamo in poppa e troviamo Gangboy insieme a due colossi; dalla corporatura sembrano due lottatori, di quelli cattivi.«Sono loro?» domanda Marc a Gangboy«Sì!… Thunder e Storm» conferma l’amico di Winter. «Io sono Marc e il vostro compito è semplice; proteggere due donne che in questo momento si trovano su questo yacht» dice Marcus. «Pensate di riuscire?».«Certo, signore, conti su di noi» risponde Storm. «Adesso noi andiamo. Durante la nostra assenza, ricordatevi… potrà salire a bordo solo chi riterrà Gangboy e nessun altro, per alcun motivo, dovrà mettere piede qui» delucida gli uomini sul loro compito il deciso Winter, ricevendone un segno d’assenso. Lasciamo le due montagne con Gangboy. Al solo vederli, è una certezza che con loro a bordo le ragazze potranno continuare a dormire sonni tranquilli.

Saliamo su una Mercedes posteggiata per noi e percorriamo la strada lungo il porto. Durante il viaggio, il mio amico dice che stiamo andando a trovare un illustre figlio di puttana, l’ex agente della Cia Omar Castelli. Nel tempo del tragitto, ripenso alla notte trascorsa con Erika, a quando le chiesi come avesse conosciuto Marc. Mi raccontò che un giorno di otto anni fa, il nostro Marc, Gangboy e Aiace entrarono nel negozio di armi. Winter le domandò se vendeva versioni soft air di mitragliatori potenti e precisi. Alla fine i tre comprarono cinque AK 47 S. Due giorni dopo l’acquisto, il giornale riportava l’impresa di cinque uomini coperti da passamontagna. Il commando aveva aspettato la fine di uno spettacolo teatrale e sparato a raffica contro i velli delle spettatrici che scendevano le scale del teatro. Una delle tante imprese della WFGA. Senza spargimento di sangue, i cecchini avevano insozzato di tintura rossa quella frivola ostentazione di costosi manti, ottenuti massacrando bestiole in nome dell’esibizione. Tre giorni dopo Marc tornò al negozio, stavolta da solo, complimentandosi con Erika per l’eccellente consiglio riguardo all’Avtoma Kalashnikova 47 soft air. La ragazza propose a Marcus la restituzione dei soldi in cambio dei mitra, immaginando che all’uomo non servissero più. Erika aveva intuito in quel momento, e ne ebbe conferma in seguito, che Marc era ritornato in negozio per tastare il polso alla ragazza. La disponibile complicità dimostrata fece entrare lei nelle grazie di Winter.

Erika ricordava ancora, il giorno dopo l’attentato, le grandi risate quando aveva guardato le fotografie in prima pagina del quotidiano, che ritraevano le donne sulla scalinata del teatro con le loro pellicce a pois rossi. La ragazza capì subito l’implicazione di Marc e soci nell’azione, ammirò simpaticamente la divertente eco-bravata di quel matto. Da quell’istante lei e Marcus furono molto legati. Un giorno di tre anni fa Marc le presentò Dana. Erika afferrò subito che tra i due c’era una grande attrazione e rimase vicina e disponibile alla coppia, li aiutò per quanto poteva in quell’importante storia che stentava a svilupparsi, come sarebbe stato naturale che fosse.

I grandi amori nascono spesso tra il confine marcato dal filo spinato e per raggiungere la meta della felicità bisogna varcare quel limite; essere pronti a sperimentare il dolore cagionato dalle punte aguzze, prima di gioire. Tutto si mette in gioco per un amore impavido, incosciente. Un amore figlio dell’immortalità.

Giungiamo nei pressi di una casa su delle palafitte in cemento armato. Le linee architettoniche richiamano al genio di White, messo al servizio dell’avangard post-moderna. Marc scende dall’auto e apre il bagagliaio e scarica il valigione con l’idrazina. Dalla veranda, al primo piano, un uomo di circa sessant’anni ci invita a raggiungerlo, indicandoci una porta al lato dell’ingrasso. Saliamo su trasportati da un montacarichi assieme al nostro bagaglio. Al nostro arrivo ci accoglie Omar Castelli che indossa una giacca da camera di velluto blu, con le iniziali ricamate in oro.

«Ci rivediamo, Marcus» esordisce Castelli. «Quando meno te lo aspetti, Omar» replica Winter. «Che hai lì?» chiede Castelli. «Idrazina purissima e tu hai il resto!» risponde Marcus.«Vuoi produrre un bel po’ di astrolite a quanto pare» suppone Castelli. «Una certa quantità di A-1-5 per l’esattezza» evidenzia Winter. «Chi è il tuo amico?» chiede Castelli rivolgendosi a Marc.«Il mio braccio destro Tyler» risponde Marc, presentandomi con il mio pseudonimo.«Avremmo bisogno anche di lei allora, Tyler» dice Omar rivolgendosi a me.«Sono qui apposta!» affermo, mentendo spudoratamente a un uomo che immagino percepisca la dissonante verità come un direttore d’orchestra si accorge di un’impercettibile stonatura del suo violoncellista.

 Castelli ci guida attraverso una sala arredata con mobili classici stile impero; al centro, un grande tappeto giallo ocra e nero con centinaia di tulipani fucsia realizzati in kashmir. Proseguiamo entrando in un lungo corridoio, che dà accesso al laboratorio chimico dell’ex agente della Cia.Indossiamo delle tute protettive e delle maschere antigas dotate di cappuccio. Bardati in questo modo, sembriamo dei fottutissimi alieni. Passammo diverse ore nel laboratorio di Omar.

Creammo un composto utilizzando centosettanta parti di nitrato d’ammonio, aggiungendo all’interno di un contenitore ermetico, ottantacinque parti d’idrazina. Fabbricammo con circa cinque chilogrammi di cera cento candeline e tre micce che avessero l’aspetto degli stoppini e che si prolungassero di sessanta centimetri oltre la base delle tre candeline speciali.

Terminato il lavoraccio, siamo soddisfatti e intuisco che abbiamo creato un potente esplosivo. Alla fine capisco che la produzione dell’esplosivo ha il suo perché, ma mi chiedo: “Che cazzo dobbiamo farci con le cento candeline?”.Non domando nulla per soddisfare la mia curiosità. Aspetto solo il momento di togliermi quella maledetta protezione anti NBC e respirare direttamente l’aria, tanto venerata dal grande capo Seattle.

Il pranzo offerto da Castelli, preparato dalla sua cuoca messicana, sebbene sia condito con della lava incandescente è alquanto gustoso. Immagino che la donna abbia un vulcano nascosto all’interno della cucina. La mia lingua già al primo assaggio s’infuoca, ma niente può impedire di soddisfare il mio appetito. Almeno senza la tuta addosso ho la sensazione che tutto il mio corpo respiri; sento i profumi dei pini e dai larici, imponenti a lato della veranda.

Parliamo di come l’anno sia stato favorevole per la produzione del cabernet. Omar ci racconta degli squisiti vini assaggiati in Italia e, da poco tempo, ha acquistato alcune bottiglie di ottimo vino europeo, venduto ormai anche negli ipermercati della grande distribuzione, così come in tutti gli shopping mall dell’East Coast.Ci fa assaggiare un eccellente vino proveniente dalla terra di Colombo. Un Rossese invecchiato tre anni, che ha mantenuto il suo caratteristico colore rubino e il sapore morbido asciutto. L’appagamento del palato, dice Omar. Se io l’avessi ancora un palato, penso, dopo aver mangiato i manicaretti della pazza messicana, che aggiunge badilate di peperoncino nei cibi; altro che astrolite. Finito il breve pranzo ci congediamo dal nostro ospite: prima di andare, vedo Marc intrattenersi in disparte con lui per pochi minuti. Interpreto il fare del mio amico come il volere rassicurare Castelli della mia presenza e della mia collaborazione e, sicuramente, per prendere confidenzialmente degli accordi con lui, secondo la forma di riservatezza cui l’ex agente è abituato.

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