Marcus Winter Cap. XVIII

Pubblicato il da Jolly Roger

Capitolo XVIII

Il salto nel tempo è annunciato dal suono molesto della sveglia nel mio orologio. Marcus è sveglio e svaccato sulla branda di fronte alla mia, mi guarda mentre affonda i denti in una soffice ciambella glassata. Di scatto guardo il mio ventre, per un secondo penso che stia mangiando il mio ombelico. Winter, guardandomi, inarca il margine sinistro delle sue labbra verso l’alto, assumendo la sua tipica espressione beffarda.«Bentornato tra noi» dice, «hai sognato stanotte. Ti dimenavi come una lontra che tenta di rompere con un sasso la conchiglia di un mollusco». Dico: «Anche quando sogno sono un gran casino».

«Prepariamoci, Axel, abbiamo poco tempo, tra poco verranno a prenderci, indossa la tuta all’interno dello zaino che hai lì, ai piedi del tuo letto» dice Winter indicandomelo con il dito.Gang dovrebbe essere in bagno; sento lo sciabordio dell’acqua della doccia. Afferro lo zaino e guardo al suo interno, estraggo una divisa da pompiere completa di autorespiratore.

«Che hai in mente?» chiedo. «Axel, in questa parte del piano avrei preferito estrometterti, hai già fatto abbastanza. Purtroppo sospettiamo ci sia una talpa tra di noi, quindi adesso sono pochi quelli in cui ripongo la piena fiducia e tu sei uno di loro. Mi occorre ancora il tuo aiuto» dice Marc guardandomi fisso negli occhi. Dico: «Conta su di me, Marcus, sempre». Winter si avvicina e poggia le mani sulle mie spalle e ammicca un assenso con la testa. Gang esce dal bagno, ha solo i pantaloni da pompiere indosso, ci guarda e dice: «Weeeh, coglioni, andiamo o prima volete menarvi l’uccello a vicenda?».

Ci infiliamo le divise da pompiere, Gang si carica i due zaini ancora pieni e usciamo dalla stanza. Scendiamo dabbasso, troviamo Floyd in compagnia di tre uomini che indossano delle divise uguali alle nostre. Gang allunga uno dei due zaini a uno di loro e i tre uomini celermente entrano dalla porta nello scantinato. Floyd dice che tra poco ripassa l’autopompa. Che cosa abbiano in mente Marcus e soci al momento è un mistero per me. Risento il cuore imbizzarrito che pompa la vita. Ogni battito è avvertito dal diaframma, come se il mio corpo fosse piazzato davanti a un muro di casse Marshall sparate al massimo.

I tre uomini escono dallo scantinato in abiti borghesi ed escono velocemente dal pub. I ragazzi e io ci avviciniamo all’uscita. Floyd ha un cellulare appoggiato all’orecchio e incrocia lo sguardo con Marc. Il barista fa un segno con il pollice in alto e usciamo, correndo verso una grande autopompa in sosta di fronte l’ingresso del locale.  Saltiamo a bordo e partiamo sparati. Alla guida del mezzo c’è il pilota della sera dell’attacco al covo, uno degli uomini della Band of Brothers, anche lui indossa la divisa rossa.

Percorriamo la Second Avenue facendoci largo con le sirene spiegate. Ci fermiamo al numero 506, sotto la Smith Tower. Indossiamo gli autorespiratori e, con gli estintori allacciati alle spalle, scendiamo dall’autopompa. Un tizio ci viene incontro dicendoci che l’incendio è al diciannovesimo piano e di fare in fretta. Un centinaio di persone sono immobili con la testa rovesciata all’indietro e osservano il fumo denso che esce dalle finestre tutt’intorno. Il fumo s’innalza come i tentacoli di un gigantesco mostro degli abissi, un calamaro gigante che allunga le sue braccia verso il cielo. Corriamo all’interno della torre; su per le scale incontriamo parecchia gente che vinta dal panico scende freneticamente di sotto. Una faticaccia arrivare su per un finto pompiere quale sono io. Stringo i denti e avanzo seguendo i ragazzi che come delle fiere balzano sugli scalini, rampa su rampa.

Al diciannovesimo piano ci attendono tre uomini con il volto coperto dagli autorespiratori, ci fanno entrare in un appartamento nel quale i mobili sono semi distrutti dal fuoco e le pareti sono annerite, ma stranamente è poco il fumo commisto all’aria. Dei fumogeni sono piazzati fuori dalle finestre e intuisco che è un finto incendio organizzato ad arte, solo fumo negli occhi. Gang e Marc intanto velocemente si svestono e mi segnalano di fare altrettanto. Scambiamo le nostre divise con gli abiti dei tre uomini, mentre il nostro autista fa da palo, anche se con tutto quel fumo è difficile che venga qualche curioso al piano. Ci rivestiamo in tutta fretta. Gang afferra uno dei grossi estintori e corriamo al ventesimo piano.

Arrivati, giriamo a destra ed entriamo veloci come proiettili nell’appartamento, qui troviamo Willy che richiude tempestivamente la porta. Togliamo gli autorespiratori e Marcus dice: «Perfetto, siamo dentro!».Guardo Willy che a sua volta mi guarda con lo stesso sorriso beffardo tipico di Marc e dice: «Ciao, capo, incontrarci è diventata una piacevole abitudine».«Willy… non rompere il cazzo» dice Gang.«Andiamo, Willy!» dice Marc. Guardo Winter e dico: «Marcus…». Lui mi sorride e dice: «Grazie, Axel, so che andrà bene». Marcus slaccia il suo bracciale di cuoio e, poggiandolo sul palmo della mia mano, richiude l’oggetto all’interno del mio pugno. Dice: «Prendi questo e nell’eventualità sai a chi darlo». Gang si avvicina e afferra tra le sue mani la testa di Marc, poggiando la fronte a quella dell’amico; si guardano per un istante, prima che Winter esca dall’appartamento assieme a Willy. Guardo Gang che ha lo sguardo mesto e rivolto alla porta. Mi avvicino a lui e afferro il suo braccio e gli domando che cosa sta succedendo.«Marc sa quello che fa e noi abbiamo il nostro compito da svolgere… ora!» dice Gangboy, riacquistando la sua vigorosa personalità.

Finisce come sempre… non saprò un cazzo.

Gang prende l’estintore e lo nasconde dietro il sofà. Sentiamo bussare con forza, ci guardiamo dritti negli occhi, Gang mi trascina precipitosamente verso il letto. Gang si toglie la giacca della divisa e la maglietta, infilando tutto sotto il letto che disfa con impeto. Mi scaraventa sul materasso e ricopre i nostri corpi con il lenzuolo blu di flanella. La porta si apre e io sotto Gang riesco a sentire solo una voce che dice: «Scusate, è tutto a posto qui?».«Sì, tutto a posto» strilla Gang, «non mi pare di aver richiesto la vostra presenza nel mio appartamento». Sepolto dalla spessa flanella, con l’ascella di Gang pericolosamente vicino alla mia faccia, sento borbottare delle scuse, poi Gang urla: «Ecco, appunto, ora facci il sacrosanto favore di sparire!».

La porta si richiude, e Gang mi libera da quella che per un attimo ho temuto fosse una morsa letale.

«Ancora non hai visto nulla Axel, il meglio deve ancora venire» dice Gang sforzandosi di sorridere, ma producendo invece una smorfia innaturale, di uno che è abituato a ruggire e non certo allenato a fare il simpatico.

Vado verso la finestra e vedo la gente che pian piano sta sfollando, sento la sirena dell’autopompa sempre più distante. Che cosa dobbiamo fare adesso è un mistero che solo Gang potrebbe rivelarmi, ma non oso chiedergli nulla; sono preoccupato adesso solo per Marcus.

Da due ore attendiamo chiusi nell’appartamento; Gang trasmette una tranquillità che appare insolita, considerando la situazione delicata e per quello che sicuramente ci aspetta. Due colpi ravvicinati e uno a distanza sono il solito segnale che qualcuno dei nostri sta bussando. Gang per sicurezza estrae una 38 canna corta con il silenziatore montato e si avvicina all’uscio. Mi fa segnale di aprire. È Debra, vestita da cameriera, che spinge un grosso carrello delle vivande dentro l’appartamento.«Come va, ragazzi?» domanda.«Hai tutto lì?» replica Gangboy. «Sì, Gang» dice Debra, «dobbiamo sbrigarci, metti l’A-1-5 nello scomparto sottostante del carrello».Aiuto Gang e Brenda che passano i vassoi con il cibo poggiandoli sul tavolo della cucina. Gang apre il vano inferiore del carrello ed estrae uno zaino tattico, immagino essere quello lasciato al pub di Floyd, poi va a riprendere l’estintore e lo colloca al posto dello zaino.

«Ok, Brenda, tu puoi andare adesso» dice Gang. La ragazza cammina spedita verso la porta, mentre raccoglie per bene i lunghi capelli neri e ricci sotto la cuffietta ed esce dall’appartamento. Gang svuota il grosso zaino. Un paracadute e due abiti da cameriere sono sparsi su quello che prima aveva l’aspetto di un letto. Guardo il paracadute e sento il bisogno di chiedere a cosa serva in un appartamento di un fottuto grattacielo, salvo che qualcuno di loro non abbia previsto di fare l’angelo dalla torre. In questo momento solo Gangboy potrebbe togliermi questa curiosità e smentire il mio convincimento che questi sono veramente tutti matti.

«E questo?» domando a Gang poggiando una mano sul paracadute.«Potrebbe essere un possibile pass di uscita» risponde Gang. Con questa risposta ho la conferma dei mie sospetti; questi sono matti sul serio e null’altro avrei potuto certo aspettarmi.

Entro nel bagno e apro il rubinetto dell’acqua calda del lavabo e intanto guardo la mia immagine riflessa sullo specchio. Profonde occhiaie sono due mezze lune eclissate; il mio sguardo torvo, generato dal mio lento snervamento, manifesta la muta della paura in quella larva di coraggio, che con lenta crescita si compone. In questi giorni il mio fisico ha seguito la rivoluzione del mio pensiero e gli sconvolgimenti portano al cruento cambiamento. La violenza delle emozioni, la fibrillazione traumatica della coscienza fortificata, sfugge al ritmo lento e compassato della rinuncia a osare; il mio aspetto segue modificato.

Lo specchio, opaco dal vapore, riflette il mio spettro; riesco a riconoscerlo più chiaramente dietro quell’umido velo; è quello della mattina prima dell’omicidio di Senzafaccia; è quello di Tyler prima che Axel riprendesse possesso della sua vera identità. L’identità che Axel ha sempre riconosciuto come sua, prima di divenire quello che il padre desiderava. Marcus ha attivato una reazione, facendo riemergere e manifestare, finalmente, tutta la mia determinata comprensione di chi sono veramente. Passo la mano sul vetro e il fantasma dell’uomo che fui scompare, per sempre, spero.

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