Marcus Winter Cap. VI

Pubblicato il da Jolly Roger

VI Capitolo

Non sono passate neanche ventiquattr’ore da quando sono a Seattle con Marc e sento che tutta la mia esistenza oggi ruota intorno a quest’uomo. Ho scelto di credere nei significati profondi, uguali a quelli che hanno spinto alla lotta Marcus, per dare uno scopo al valore dell’esistenza e allo spirito di giustizia che aleggia intorno alla sua vita. Sento il bisogno di liberarmi dalla mia realtà sciatta, il cui credo si limita al possesso dell’eccedente.

Credo oggi a un traguardo lontano dal denaro ottenuto grazie al compromesso, dalla fama assicurata in cambio della prostrazione al potere, dalla banalità regalata a piene mani dal dio della vanità. Ambisco solo a dimostrare il mio valore, ad allenare il mio coraggio per essere pago nel giorno dell’addio. La mia fottutissima vita dal vangelo secondo Rostand.

Il mio cammino è iniziato e Marc propone la direzione, so che condividiamo, nella fratellanza, lo stesso ideale.

Assieme a due individui vestiti con le uniformi degli uomini della sicurezza, che fanno parte sicuramente del progetto ARMED FOR LIFE, ci dirigiamo verso la Smith Tower. I due ci accompagnano fino al 35° piano della torre, in quella che chiamano la Chinese Room. Mi soffermo a guardare l’eleganza della stanza arredata con mobili di pregiatissimo legno cesellato e lo splendido soffitto di porcellana e legno, il mirabile paesaggio a est del porto e le alte torri a nord. Marc si limita a guardare sotto dal balcone, e dopo aver osservato il mio volto estasiato dalla bellezza che mi circonda, dice repentinamente: «Non ti ci affezionare troppo, possiamo uscire adesso». Non faccio domande nemmeno quando m’invita ad andare assieme ai nostri accompagnatori in hotel. Durante il viaggio dico ai ragazzi che prima voglio fare visita a un’amica. Ho voglia di rivedere Erika. Cerco di spiegare il posto, ma i miei accompagnatori sanno benissimo dove andare.

Trovo Erika che mostra una beretta calibro nove parabellum a un tizio che ha tutta l’aria dello sfigato di turno, e magari pensa che con una pistola nella fondina otterrà più rispetto dal prossimo. La ragazza mi nota subito e lascia il cliente con il pistolone in mano a masturbarsi mentalmente, pensando che oggi è nato il nuovo Pat Garret. Erika si avvicina con un’espressione incredula, non immaginava certamente di rivedermi così presto. Le leggo la felicità sul volto e nei movimenti eccitati dei suoi gesti.«Mi sbrigo con quel cliente e sono subito da te» mi dice frettolosamente, indicando il tipo che intanto punta la pistola verso un collega della ragazza e dice “Bang!”.

Spero che la sveglia ragazza, venditrice di armi, dissuada l’uomo a comprare la semi-automatica. Mentre aspetto, il mio occhio cade su un fucile stranissimo, sul cartellino, oltre alla scheda tecnica, è pubblicizzato come il più corto fucile d’assalto al mondo. Mi fa sorridere il nome, Tavor 21. Immagino una scena casalinga in cui la moglie esorta il marito alquanto depresso, agitato perché il vicino permette al proprio cane di urinare sulle sue bellissime petunie: “Caro, ti prego calmati… prendi un tavor”. L’uomo piglia la scatola, ma all’interno il dispenser è vuoto, allora esce per comprare il farmaco.

Nel tragitto nota il negozio di armi ed entra per curiosità e alla fine compra il suo antidepressivo d’assalto, caricato con trenta pillole 5.56 nato. Esce dall’armeria e va a casa del vicino e gli scarica addosso tutte le pastigliette a 900 colpi al minuto. Non contento, va dal cane e gli piscia in testa, credendo di far capire all’animale come si senta un’indifesa petunia colpita dalla calda, fisiologica doccia. Un giorno di ordinaria follia tra le villette a schiera di un hinterland cittadino.

«Ti piacciono le armi israeliane?» mi chiede Erika notando il mio interesse per il fucile tascabile. «Preferisco la ragazza che le vende» rispondo prontamente.«Eccellente scelta» replica la sorridente sbarazzina. «Il tizio è andato via senza la sua beretta?» chiedo a Erika, riferendomi al cliente di prima.«Molti di quelli che entrano in questo negozio sono solo curiosi, magari poi comprano una scacciacani; altri non hanno le carte in regola e spesso neanche il cervello a posto per l’acquisto di un’arma» dice la ragazza. «Io cerco di capire prima che tipo di acquirente ho di fronte; se la mia valutazione è positiva, passo dettagliatamente a elencare l’arma richiesta e poi, alla fine, alla parte burocratica. Credimi, ci rimarrei malissimo se un mio cliente finisse sul giornale per avere massacrato la famiglia con la pistola che gli ho venduto». Mi trattengo dal raccontargli la storiella immaginata prima del depresso coltivatore di petunie; invece ammiro la sensibilità e la sensata etica della ragazza. Mi limito a guardarla negli occhi; ho davanti il volto luminoso che trasmette ancora la stessa emozione di stamattina.«Come stai, passata la sbornia?» mi chiede.«Immediatamente… durante la doccia» dico. Mi sorride chinando lo sguardo.«Ora devo andare, ho ancora un po’ di lavoro da finire» dice Erika. «Stasera c’è una festa organizzata da amici di Marc, penso che più tardi lui stesso ti dirà di venire. Io sarò lì!» si congeda Erika, accarezzandomi la guancia con un lieve tocco. La seguo con lo sguardo, mentre si avvia verso il cliente che le indica un Remington calibro venti a pompa.

Esco e percorro a piedi l’International Boulevard, direzione Red Lion. Mi godo la passeggiata, sento la brezza marina che invade le narici, un profumo misto a sentori urbani. Sono il cammino del capo Seattle, sono le sue parole per l’uomo bianco che non fa caso all’aria che respira. Come un uomo che impieghi parecchi giorni a morire, resta insensibile alle punture. “Voi bianchi” disse il saggio pellerossa “dovete ricordare che l’aria è preziosa, che l’aria divide il suo spirito con tutti quelli che fa vivere. Il vento che ha dato il primo alito al nostro Grande Padre è lo stesso che ha raccolto il suo ultimo respiro“. Io, oggi, respiro la vita del grande spirito, tentando di filtrarla dallo smog del venefico uomo bianco. È già sera. Al mio rientro in hotel trovo Marc sdraiato sul mio letto che legge dei fogli. «Stasera…» sta per dirmi. «…andiamo a una festa!» continuo, non lasciandolo finire. «Erika mi ha preceduto!» afferma con un sorriso furbo Winter. «Ci vediamo tra un’ora giù» dice Marc lanciandosi verso l’uscita.

Penso ai versi di un brano di Bruce Dickinson: “Per troppo tempo ora ci sono stati segreti nella mia vita. Per troppo tempo ora ci sono stati segreti nella mia mente.Per troppo tempo ci sono state cose che avrei dovuto dire.Nell’oscurità stavo inciampando davanti alla porta. Cercavo una ragione”. Tears of the Dragon…Da un urlo di fuoco che parte dal cuore, le sento scorrere sulle gote.

La festa è organizzata nell’attico della torre visitata oggi. Uno dei due uomini che ci avevano accompagnati nella Chinese Room sta all’ingresso. Marc e io risaliamo per la seconda volta in un giorno, con l’ascensore rivestito di ottone, i piani della Smith Tower; diretti stavolta al trentasettesimo piano. Ritroviamo il secondo tizio della sicurezza davanti all’ingresso dell’attico. Dopo il nostro arrivo l’ingresso è chiuso dall’uomo in uniforme.

La stanza è illuminata da luci soffuse e una cinquantina di persone sono divise a gruppetti, qualcuno balla anche sulle note di un brano rock melodico ninnante, dai picchi grintosi. Intravedo due dei tre uomini incontrati nel pub di Floyd, manca quello con la mano bucata e Gangboy; c’è anche il capitano dello yacht e poi, ecco, lei, in un abito lungo in crêpe nero, un velo ricopre leggero le forme perfette. L’arte creatrice di Gergette oggi alita sulla mia Erika; sinuosa nel suo incedere verso di me. Superbo giaguaro. Il suo sguardo marcato dalla matita nera conferma lo spirito felino che questa sera cammina con lei. Erika si gira a guardare Marc e io accompagno il suo sguardo, osservando il caro Winter balzare su un tavolo tondo di ciliegio. La musica è spenta e un faretto del soffitto proietta una luce a cono su quell’improvvisato palco. Marcus Winter inizia il suo discorso: «Stasera non sono presenti molti dei nostri amici. Da fratelli ci hanno aiutato, appoggiato, facendo in modo che il nostro progetto andasse avanti. Ci siamo spinti insieme verso l’ideale che noi tutti alimentiamo con il sacrificio. Non ci siamo mai dati delle regole, perché limiterebbero la nostra libertà di agire con coscienza. In questo mondo, molti sono quelli che cadono immeritatamente, molti sono elevati indegnamente, ma noi sappiamo soppesare il vero valore. Noi siamo la bilancia del buon senso che rinnega la falsità e l’ipocrisia. Noi siamo l’occhio che vigila su coloro che da soli non riescono a proteggersi. Noi difendiamo le vittime di chi con il denaro compra la vita e mina il vero diritto alla libertà… la libertà di esistere. Noi osteggiamo chi, grazie all’abuso di autorità, si arroga il diritto di perseguire, senza giusta causa, tutti quelli che non riescono a difendersi. Noi apparentemente siamo uguali a coloro che in questo momento sono a casa o passeggiano sulle strade di questa città, che lavorano, amano… vivono. Noi però, abbiamo scelto di affrontare il male a viso aperto, sfidandolo e non aspettando mai che sia lui ad attaccare per primo. Giorno dopo giorno nel mondo, i nostri affiliati s’impegnano costantemente, ma l’avversario agisce con maggiore efficacia, perché ha diramato le radici in ogni dove; una metastasi che si espande dalla notte dei tempi. Oggi questo male è una grande quercia che si nutre della linfa che sottrae all’umanità; difficile da abbattere. E quando non sei in grado di abbattere un albero, l’unica cosa che puoi fare è rendere il terreno da cui trae nutrimento un deserto. Il principio del nostro progetto è sempre stato questo. Ora è il momento di incendiare quest’albero. Alcuni di voi, questa sera, riceveranno delle buste contenenti l’informativa sui compiti da condurre a termine in questa settimana. Se con il vostro impegno porterete a buon fine gli incarichi assegnati, qualcosa cambierà».

Gli applausi chiosano la parte terminale del discorso di Marcus.«L’AKEA, la mostruosità aberrante che rappresenta, sostentata del potere corrotto e dal denaro insanguinato, assaporerà l’inizio della sua DISFATTA» termina Winter.Marc salta giù dal tavolo.La musica ricomincia, il ritmo cadenzato m’invita a volteggiare tra le nuvole, con Erika, al 37° piano della Smith Tower.

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